Il Tenente Colombo e le Best Practice nei processi ad alta complessita’
Sono un’appassionata della serie televisiva Colombo da sempre. Negli anni sono riuscita a collezionare quasi tutti i 69 episodi interpretati da Peter Falk: delitti machiavellici e intricati, trame complesse, sempre diverse fra loro, dove l’unica costante è l’abilità del tenente italo-americano di connettere elementi noti in modo non prevedibile.
Abilità necessaria anche nel mio lavoro, quando affianco le aziende in percorsi di innovazione, in cui molte variabili sono ignote a priori e il vero obiettivo è “formulare le giuste domande” per investigare, scoprire, connettere in modo non convenzionale.
Come il tenente Colombo, anche chi si occupa di strategia non può fidarsi solo della sua esperienza – non può puntare tutto sulle best practice –, ma per ottenere i risultati prefissati deve affinare la sua capacità “investigativa”, per connettere persone, fatti e contesti in modo non ordinario.
L’insegnamento di Colombo: l’esperienza non basta, servono le connessioni
Taccuino alla mano, bassotto al seguito, sguardo penetrante e aria trasandata, il Tenente Colombo risolve ogni caso, immancabilmente. Assassini intelligenti e senza scrupoli sembrano averla vinta per tutto l’episodio mentre Colombo, in apparenza, brancola nel buio. Fino a che, già con un piede sulla soglia, si gira e con il suo: «Ah, un’ultima cosa…» infrange le certezze del colpevole, rivelando il dettaglio risolutore.
Un dettaglio che è sempre diverso, così come il delitto ed il movente.
Il nostro tenente ha un metodo, ha grande esperienza, è vero, ma non è grazie a questi che arriverà alla soluzione.
L’esperienza gli dice che per avere tutte le informazioni che gli servono deve seguire una procedura affinata negli anni: una “best practice” testata e ritestata.
Prende appunti, fa domande, incalza o allenta il ritmo, finge di non capire, si mostra ingenuo ed espone all’assassino i suoi dubbi, per studiarne le reazioni o per tendergli delle trappole (un volgare trabocchetto, commenterà sprezzante Ross Martin dopo essere stato smascherato in uno dei migliori episodi della prima stagione: “L’arte del delitto”).
Ma non sarà la prassi che lo aiuterà a chiudere il caso.
Bensì l’intelligenza investigativa, cioè la capacità di unire i fatti al movente, e l’abilità nel simulare scenari, che gli consente di cogliere connessioni non ancora manifeste.
Le relazioni causa-effetto non funzionano se lo scenario è complesso
L’abilità investigativa è richiesta in tutti i processi ad alta complessità. Lo stesso vale per le aziende che intraprendono percorsi di innovazione. Il contesto è spesso ignoto, le competenze da mettere in campo sono diverse da quelle necessarie fino a quel momento e gli interlocutori spesso non sono più quelli prima.
Quindi, nel tentativo di raggiungere gli obiettivi prefissati – acquisire una nuova fetta di mercato, diversificare l’offerta, cambiare modello di business – ma trovandosi in equilibrio precario su un terreno diverso da quello a cui sono abituate, le aziende cercano un appiglio sicuro, che credono di ritrovare nelle cosiddette best practice.
Nel farlo si affidano a degli esperti, perché non hanno le competenze interne per mettere in pratica le norme dettate dall’esperienza. Il SEO Specialist, il Social Media Manager, l’esperto di e-commerce o quello di performance marketing sono alcune delle figure chiamate a gestire, per esempio, la transizione verso nuovi canali digitali.
L’idea alla base di questa scelta è comprensibile: se il tal metodo ha funzionato per quel competitor o in quella situazione – è il pensiero comune – funzionerà anche nel nostro caso, per una relazione causa-effetto.
Ma negli scenari complessi le variabili in gioco sono molteplici, non sempre note, collegate tra loro in modo non prevedibile. È impossibile stabilire a priori un nesso tra una singola scelta ed un risultato.
La relazione causa-effetto non è lineare e la si può comprendere solo a ritroso, dopo aver agito. In questi scenari, adottare best practice può diventare addirittura fuorviante!
L’esperto, dal canto suo, può solo dare indicazioni per quanto riguarda il proprio ambito di competenza, ma non sa – né può – connettere il suo lavoro con tutte le altre aree strategiche dell’azienda e con i bisogni latenti della clientela.
Dalle Best Practice alle pratiche emergenti, dall’esperto alle connessioni
Se lo scenario è solo complicato dall’introduzione di una nuova variabile, le buone pratiche sono sufficienti. Quando invece è articolato e non prevedibile – è complesso – è necessario cambiare approccio.
Passare dalle best practice alle pratiche emergenti, cioè mettere insieme relazioni non ancora manifeste. Passare dall’esperto alle connessioni, cioè costruire network di competenze che possano contaminarsi.
Chiariamo questa differenza con un esempio.
Processi complicati e complessi: un esempio
Prendiamo l’esempio di un Editore che intenda passare dalla pubblicazione esclusivamente cartacea dei suoi Brand editoriali alla versione digitale. Molto probabilmente si rivolgerà ad uno o più esperti del Digital che lo aiutino in questa nuova modalità di lavoro. Non si tratta di cambiare interlocutore, posizionamento e strategia, ma solo di acquisire nuove competenze: un processo complicato, in cui le buone pratiche servono, ma devono essere rafforzate dal nuovo elemento.
Se invece l’Editore decidesse di realizzare una strategia di contenuto per altre Aziende e scrivere storie di Brand, entrerebbe in un processo innovativo, in cui le sue competenze devono essere connesse in una modalità completamente diversa rispetto a prima.
In questo contesto, le buone pratiche non bastano, anzi sono fuorvianti. Ad esempio, la prassi potrebbe indurre a pensare che “realizzare una strategia di contenuto per un’Azienda” sia uguale o molto simile a “scrivere contenuti per un proprio Brand editoriale”.
Basta saper scrivere. Lo stesso lavoro che si fa per sé, basta farlo per un altro.
E invece non è così.
Contenuti, persone, tempi e processi vanno riscritti e connessi secondo nuovi schemi. Non del tutto prevedibili, né controllabili. In questo scenario risulterà molto più utile creare connessioni, network di competenze tra l’Editore e le Aziende clienti, piuttosto che affidarsi ad esperti o a prassi consolidate.
Capire se lo scenario è complesso – o semplicemente complicato – è la prima valutazione da fare in un’azienda.
Solo così potrà decidere se affidarsi ad un esperto e alle buone pratiche o sviluppare un network di relazioni e puntare sulla connessione di competenze.
Una scelta che può decretare il successo o il fallimento della sua strategia.